La Carta Docenti è un bonus annuale di 500 euro istituito con l’art. 1, comma 121, della Legge 107/2015 (Buona Scuola di Renzi) per sostenere la formazione e l’aggiornamento professionale degli insegnanti di ruolo nelle scuole pubbliche italiane. Questa somma può essere utilizzata per l’acquisto di libri, testi digitali, hardware e software, iscrizioni a corsi di formazione e altri strumenti utili alla didattica. Tuttavia, dalla sua introduzione, il bonus è stato concesso esclusivamente ai docenti di ruolo, escludendo completamente i docenti precari, anche quelli con contratti annuali o che successivamente sono entrati in ruolo.

Questa disparità ha suscitato forti polemiche nel mondo della scuola e ha portato nel corso degli anni a numerosi ricorsi. Nel 2016, il TAR del Lazio si era espresso a sfavore dei precari, stabilendo che il bonus spettasse solo agli insegnanti con un contratto a tempo indeterminato. Sembrava la fine della questione, ma nel 2020 l’avvocato biellese Giovanni Rinaldi, esperto in cause legate ai diritti del personale scolastico, ha riaperto la battaglia legale, sostenendo che la mancata concessione della Carta Docenti ai precari costituisse una forma di discriminazione contraria al diritto europeo.
Il caso della docente precaria biellese e il ricorso alla Corte di Giustizia Europea
La vicenda è approdata al Tribunale di Vercelli, dove i legali dell’Anief (Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori) – tra cui lo stesso Giovanni Rinaldi, insieme a Nicola Zampieri, Walter Miceli e Fabio Ganci – hanno presentato un ricorso per far valere il diritto della loro assistita, una docente precaria biellese, ad ottenere il bonus.
Gli avvocati hanno portato come riferimento una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 2019 (Usariz/Arosegui), che aveva stabilito che i diritti legati alla formazione continua devono essere riconosciuti anche ai lavoratori a tempo determinato, quando la loro funzione sia comparabile a quella dei lavoratori a tempo indeterminato. La discriminazione tra docenti di ruolo e precari, quindi, potrebbe violare la Clausola 4 dell’Accordo Quadro del 1999 sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla Direttiva 1999/70/CE.
Il Giudice di Vercelli, ritenendo fondate le argomentazioni del team legale, ha deciso di rinviare la questione alla Corte di Giustizia Europea di Lussemburgo, che ora dovrà valutare se la normativa italiana sulla Carta Docenti contrasta con i principi del diritto comunitario.
Un possibile effetto domino: fino a 800 milioni di euro di arretrati per lo Stato
Se la Corte di Giustizia Europea dovesse dare ragione ai ricorrenti, si creerebbe un precedente giuridico che potrebbe permettere a migliaia di docenti precari di ottenere il riconoscimento del proprio diritto a ricevere la Carta Docenti. Non solo, lo Stato potrebbe essere obbligato a risarcire gli arretrati a tutti coloro che hanno stipulato contratti a tempo determinato a partire dall’anno scolastico 2015/2016, con un impatto economico stimato intorno agli 800 milioni di euro.
Questo ricorso rappresenta una delle battaglie più importanti per il riconoscimento dei diritti dei docenti precari in Italia, un segmento della categoria che, pur svolgendo le stesse mansioni dei colleghi di ruolo, si è visto negare negli anni una serie di tutele e benefici.
Ora, la decisione spetta ai giudici europei, i quali dovranno stabilire se la Carta Docenti debba essere garantita anche al personale precario. Nel frattempo, il caso della docente biellese è diventato simbolo di una lotta più ampia per l’equità nel settore dell’istruzione pubblica italiana, in attesa di una sentenza che potrebbe cambiare radicalmente il destino di migliaia di insegnanti.